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  Artribune

 Antonio Ligabue, artista visionario. Dai margini dell’esistenza al cuore della pittura

Un documento raro, girato negli anni Sessanta, che svela volto, gesti, riti e ispirazioni del grande pittore naïf, Antonio Ligabue. Frammenti da una biografia segnata da emarginazione e disagio psichico. E da uno straordinario talento






Artista outsider, pittore naïf, genio tormentato. O semplicemente “El matt”. Così lo chiamavano a Gualtieri, paese d’origine del padre adottivo: Antonio Ligabue, per la gente, era semplicemente “Il matto”. E ci avrebbe messo una vita a guadagnarsi un’identità, grazie a quella vocazione straordinaria che, da autodidatta, lo aveva spinto verso una dimensione della pittura primordiale, spirituale, profondamente umana e insieme selvatica.
Antonio, nato a Zurigo nel 1899 da una ragazza madre italiana, fu riconosciuto nel 1901 da Bonfiglio Laccabue, l’uomo che la prese in sposa. Presto venne però affidato a Johannes Valentin Göbel ed Elise Hanselmann, coppia indigente, costretta a spostarsi di continuo in cerca di lavoro. Iniziò così, per lui, la lunga odissea di nomadismi, sradicamenti, violenze, abbandoni. Un carattere difficile e l’insorgere di un chiaro disagio psicologico furono il suo marchio, fin da ragazzino; povertà e ignoranza fecero il resto: il primo ingresso in manicomio nel 1917, dopo una grave crisi di nervi. Da allora fu tutto un susseguirsi di ricoveri, fughe, denunce, vagabondaggi, autolesionismi, tentativi di recupero.
Antonio Ligabue, Autoritratto
Antonio Ligabue, Autoritratto
L’incontro con la pittura fu precoce e salvifico: dal 1920 in poi sarebbe stata la sua compagna di viaggio. Fino a destare l’interesse di altri artisti, critici e mercanti, che via via lo sostennero. Con lo slancio genuino dell’infanzia e un singolare pathos espressionista, con quella sua capacità di intercettare le forze segrete della natura e di farne allucinata narrazione, Ligabue partorì paesaggi feroci ed incantati, flore e faune straziate da cromie accese, autoritratti e scene di fiaba… Centinaia di storie diurne, scavate nella notte di un’esistenza costellata di solitudini. Sempre sul limite tra la forma esatta, illustrativa, e una specie di orrore latente, d’esasperazione. Tanto erano brillanti le sue tele, tanto era mesta la sua condizione di naufrago, rannicchiato ai margini dell’esistenza.
Eccola, la follia di Antonio Ligabue, nella fragilità che lo esponeva all’emarginazione: non avere un posto nel mondo, non conoscere il senso dell’affetto, non possedere una direzione. Ed eccola, la sua pittura: storie di piante, animali, predatori, contadini; storie di un mondo semplice e rurale; storie intrise di una bellezza antica. Qualcosa a cui appartenere, da cui lasciarsi definire. Trovandosi, nello spazio della tela.
Antonio Ligabue - Tigre assalita dal serpente
Antonio Ligabue – Tigre assalita dal serpente
Nel 1962, tre anni prima della sua morte, Raffaele Andreassi gli dedicò un documentario, trasmesso in TV solo nel 1977. Una testimonianza preziosa, in cui dipingere è anche compiere uno rituale magico, prima di esporsi all’incantesimo della visione; in cui i versi degli animali prendono il posto delle parole; in cui l’idea dell’amore è tutta nella sua rappresentazione autistica o nella sua invocazione tenera, quasi filiale. La cinepresa ruba alla vita di Ligabue frammenti di verità, scavando tra le rughe della faccia e delle mani ossute, tra le pagine di una biografia senza riscatto, tra le pieghe di una pittura vitalissima, visionaria. Così ingenua e così feroce. Mai abbastanza compresa, forse. Pittura della nudità, che inchioda all’evidenza della cose. Quella della realtà, capovolta nella follia. E viceversa.
Helga Marsala



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Biografia

Antonio Ligabue nacque a Zurigo il 18 dicembre 1899 da Elisabetta Costa, originaria di Cencenighe Agordino, e da padre ignoto: venne registrato anagraficamente come Antonio Costa. Il 18 gennaio 1901 Bonfiglio Laccabue, emigrato in Svizzera dal comune di Gualtieri, sposò Elisabetta e il 10 marzo successivo riconobbe il bambino che assunse così il cognome del patrigno. Antonio, però, divenuto adulto, preferì, nel 1942, essere chiamato Ligabue (presumibilmente per l'odio che nutriva verso Bonfiglio, da lui considerato come l'uxoricida della madre Elisabetta, morta tragicamente nel 1913 insieme a tre fratelli in seguito a un'intossicazione alimentare[2])
Nel settembre del 1900 venne affidato agli svizzeri Johannes Valentin Göbel ed Elise Hanselmann che lo denunceranno varie volte per i suoi strani comportamenti. A causa delle disagiate condizioni economiche e culturali sono costretti a continui spostamenti: Ligabue rimarrà con i Göbel fino al 1919. Il carattere difficile e le problematicità di apprendimento lo portarono a cambiare scuola: prima a San Gallo, poi a Tablat e infine a Marbach da dove venne allontanato nel maggio del 1915 per cattiva condotta. Si trasferì quindi con la sua famiglia adottiva a Staad.
Tra il gennaio e l'aprile del 1917, dopo una violenta crisi nervosa, fu ricoverato per la prima volta in un ospedale psichiatrico a Pfäfers. Nel 1919, su denuncia della Hanselmann, venne espulso dalla Svizzera. Da Chiasso fu condotto a Gualtieri, luogo d'origine di Bonfiglio Laccabue ma, non sapendo una parola di italiano, fuggì tentando di rientrare in Svizzera. Riportato al paese, visse grazie all'aiuto dell'ospizio di mendicità Carri. Nel 1920 ricevette l'offerta di un lavoro presso gli argini del Po: proprio in quel periodo iniziò a dipingere. Nel 1928 incontrò Renato Marino Mazzacurati che ne comprese l'arte genuina e gli insegnò l'uso dei colori ad olio, guidandolo verso la piena valorizzazione del suo talento. In quegli anni si dedicò completamente alla pittura, continuando a vagare senza meta lungo il fiume Po.
Nel 1937 fu ricoverato in manicomio a Reggio Emilia per atti di autolesionismo. Nel 1941 lo scultore Andrea Mozzali lo fece dimettere dall'ospedale psichiatrico e lo ospitò a casa sua a Guastalla. Durante la guerra fece da interprete alle truppe tedesche. Nel 1945, per aver percosso con una bottiglia un militare tedesco, dovette rientrare in manicomio rimanendovi per tre anni. Nel 1948 si fece più intensa la sua attività artistica tanto che giornalisti, critici e mercanti d'arte si interessarono a lui. Nel 1957 Severo Boschi, firma de Il Resto del Carlino e il fotoreporter Aldo Ferrari gli fecero visita a Gualtieri: ne scaturì un servizio sul quotidiano con immagini tuttora celebri.

Nel 1961 si procedette all'allestimento della sua prima mostra personale alla Galleria La Barcaccia di Roma. Subì un incidente in motocicletta e l'anno successivo rimase vittima di una paresi. Nel 1963 Guastalla gli dedicò una grande rassegna antologica, organizzata dal gallerista e amico Vincenzo Zanardelli. Chiese di essere battezzato e cresimato: morì il 27 maggio 1965 all'età di 66 anni. Fu sepolto nel cimitero di Gualtieri e sulla sua lapide venne posta la maschera funebre in bronzo realizzata da Mozzali. Era denominato Al Matt (il matto) o Al tedesch (il tedesco).
Nel 1965, all'indomani della sua morte, gli venne dedicata una retrospettiva nell'ambito della IX Quadriennale di Roma.
Su iniziativa di Augusto Agosta Tota e con il patrocinio della regione Lombardia, della provincia e del comune di Milano, fu allestita una grande mostra antologica al Palazzo dell'Arengario, dal 28 novembre 1980 all'11 gennaio 1981. Nella sala delle Cariatidi furono esposte oltre 150 opere tra dipinti, sculture, disegni e puntesecche, poi raccolte in un dettagliato catalogo con testi di vari critici e intellettuali, come Cesare Zavattini, Alberto Bevilacqua, Mario De Micheli e Raffaele De Grada.[3] La suddetta mostra antologica, nello stesso anno e in quello successivo, verrà poi replicata a Bordighera, Lugano, Parigi, Strasburgo e altre località.
Nel 2002 Sergio Negri, tra i maggiori esperti delle opere di Ligabue, pubblicò il Catalogo generale dei dipinti (casa editrice Electa Mondadori). Al Palazzo Reale di Milano, tra il 20 giugno e il 4 novembre 2008, si tenne una mostra monografica sul pittore organizzata dal Centro Studi & Archivio Antonio Ligabue di Parma, presieduto da Augusto Agosta Tota. Presso la Fondazione Magnani Rocca a Mamiano di Traversetolo (Parma), lo stesso Centro Studi predispose, dall'11 marzo al 26 giugno 2011 la mostra Antonio Ligabue. La follia del genio.
Nel 2015, a Gualtieri, a 50 anni dalla sua morte, nasce la Fondazione Museo Antonio Ligabue che realizza un'antologica con 180 opere dell'artista tra dipinti, disegni, incisioni e sculture. La mostra Ligabue, Gualtieri. Il ritorno è allestita nel Salone dei Giganti di Palazzo Bentivoglio ed è aperta dal 31 maggio all'8 novembre 2015[4]. A fronte dell'enorme successo ottenuto dalla mostra, al 31 ottobre 24.000 ingressi, l'apertura è stata prorogata a martedì 8 dicembre 2015.

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