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8 marzo, Giornata Internazionale della Donna: le vere origini della ricorrenza tra bufale e dati storici accertati
Di Caterina Lenti -
8 marzo 2015 - 00:02


FESTA DONNA
L’8 marzo ricorre la Giornata Internazionale della donna o, più semplicemente, la “Festa della donna”. Ancora oggi, soprattutto sul web, circolano diverse versioni che citano fabbriche mai esistite, numeri e circostanze, distanti dal vero , per motivare la nascita di questa ricorrenza. Se il 7 marzo in molti ignorano le reali origini storiche della Festa della donna, il giorno seguente, di condivisione in condivisione, di link in link, si consolidano telematiche convinzioni distorte su quella data, che sembrano quasi impossibili da sgretolare.
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Secondo la leggenda che ci hanno, spesso, propinato a scuola, agli inizi del marzo 1908 le operaie della Cotton, un’industria tessile di New York, entrarono in sciopero contro le loro disumane condizioni lavorative e lo sciopero si protrasse finché, l’8 marzo, il proprietario della fabbrica, un certo Johnson, dopo averle rinchiuse in essa, barricò tutte le uscite. Poco dopo divampò un incendio, forse appiccato dallo stesso proprietario, e 126 operaie morirono. Con questa bufala però, si rende un pessimo servizio alla storia e non si onora una ricorrenza che merita rispetto, attenzione e riflessione. Coloro che hanno la possibilità di recarsi nella Grande Mela, potrebbero visitare, ad esempio, il Museum of the city of New York, situato nell’Upper East Side, al numero 1220 di Fifht Avenue. In una sezione del museo sono ricordati tutti gli incendi che devastarono la città (tanto per citarne alcuni, quello del 1835, il “Great Fire”, che distrusse 700 edifici; quello del 1876, in un teatro di Brooklyn, che provocò 300 morti) ma tra l’imponente serie di foto che documentano fatti e avvenimenti che devastarono la città, non ci sono tracce dell’incendio della Cotton.
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Al contrario, sono presenti sconvolgenti immagini riguardanti l’incendio divampato il 25 marzo 1911 alla “Triangle Shirtwaist Company”, una fabbrica di camicie ubicata negli ultimi 3 piani di un edificio di Washington Place in cui 500 ragazze tra i 15 e i 25 anni e più di un centinaio di uomini lavoravano per 60 ore settimanali senza che venissero conteggiati gli straordinari imposti e poco pagati. Forse non era tanto l’estenuante orario lavorativo il vero malessere delle operaie ma la sorveglianza feroce esercitata da “caporali” esterni, retribuiti a cottimo dai padroni, ognuno dei quali sorvegliava e retribuiva, a sua volta, 7 ragazze, imponendo loro ritmi massacranti che spesso erano all’origine di incidenti durante l’orario lavorativo. Gli ingressi venivano chiusi a chiave per impedire alle lavoranti di lasciare il proprio posto di lavoro, seppure per pochi minuti, e il sindacato non aveva mai varcato le soglie di quell’azienda in cui non esistevano diritti e la sicurezza era inesistente. Alle 16:4o di quel maledetto venerdì, per cause accidentali si propagò un incendio che, partendo dall’ottavo piano, lambì subito il nono, devastando il decimo. Alcune donne riuscirono a scendere lungo la scala anti incendio ma presto essa crollò sotto il peso di tante disperate in preda al terrore e anche l’ascensore cedette quasi subito. Le operaie dovettero salire al decimo piano ma anche lì arrivarono le fiamme e quel giorno a New York si videro scene terrificanti, simili a quelle dell’11 settembre 2001, giorno dell’attacco alle Twin Towers.
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Questa vicenda ci riguarda da vicino, più di quanto si pensi: delle 146 donne sfracellate al suolo, 39 erano italiane, immigrate nella “Grande Mela”. Le altre vittime erano in gran parte ebree venute negli Stati Uniti dall’Europa orientale, soprattutto dalla Russia, per sfuggire i terribili pogrom che periodicamente si abbattevano sulle povere comunità ebraiche dell’Est ed il loro “sogno americano” si infranse su un marciapiede mentre i proprietari della Triangle vennero tutti assolti. Quest’episodio reale è significativo per cogliere da vicino la condizione della donna nella società industriale all’inizio del Novecento, sfruttata brutalmente per pochi soldi, priva di diritti, tra cui anche il diritto di voto; circondata dal pregiudizio di una presunta inferiorità morale ed intellettiva rispetto all’uomo, libera solo di scegliere se morire di parto, in una fabbrica di camicie, oppure per mano di un bruto o uccisa dalla polizia nella repressione dei frequenti scioperi dell’epoca. In realtà l’8 marzo ha radici che nascono dal movimento internazionale socialista delle donne, quando nel 1907 Clara Zetkin, delegata del partito socialdemocratico tedesco e dirigente del movimento operaio, e Rosa Luxemburg, teorica della rivoluzione marxista e fondatrice del partito socialista polacco e del partito comunista tedesco, organizzarono la 1° Conferenza internazionale della donna.
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Il 3 maggio dell’anno seguente, nel corso di una conferenza domenicale delle donne socialiste al Garrick Theater di Chicago, il conferenziere di turno non si presentò. Senza perdersi d’animo la socialista americana Corinne Brown decise di presiedere personalmente l’assemblea: in quella conferenza, in seguito chiamata «Woman’s Day», il giorno della donna, si discusse sullo sfruttamento operato dai datori di lavoro ai danni delle operaie in termini di basso salario e di orario di lavoro, delle discriminazioni sessuali e del diritto di voto alle donne. Da quell’evento nacque la decisione di «di riservare l’ultima domenica di febbraio per l’organizzazione di una manifestazione in favore del diritto di voto femminile». Negli Stati Uniti la prima e ufficiale giornata della donna fu celebrata il 28 febbraio 1909. Nel 1910 a Copenhagen, nel corso di un nuovo incontro internazionale della donna, le socialiste americane proposero di istituire una “GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA”, da celebrare ancora nell’ultima domenica di febbraio. Ma questa ricorrenza non fu ripetuta tutti gli anni, né commemorata in tutti i paesi, poiché le celebrazioni furono interrotte dall’avvento della Prima guerra mondiale. In seguito, a San Pietroburgo, l’8 marzo 1917 (il 23 febbraio secondo il calendario giuliano allora in vigore in Russia), le donne della capitale guidarono una grande manifestazione per reclamare la fine della guerra, chiedendo pane per i figli e il ritorno degli uomini dal fronte: “pane e pace”.
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La debole reazione dei cosacchi che dovevano reprimere la protesta, incoraggiò successive manifestazioni, che portarono al crollo dello zarismo, ormai completamente screditato e privo anche dell’appoggio delle forze armate, e l’8 marzo 1917 è rimasto nella storia a indicare l’inizio della «Rivoluzione russa di febbraio». Per questo motivo e per attribuire un giorno comune a tutti i Paesi, a Mosca, il 14 giugno 1921 con la 2° Conferenza internazionale delle donne comuniste, si fissò all’8 marzo la “Giornata internazionale dell’operaia” e nel 1922, con l’aiuto di Clara Zetkin, anche Lenin proclamò l’8 marzo come “Giornata Internazionale delle Donne”, in ricordo di tutte le donne russe che nel 1917 sfidarono la tirannia zarista, assumendo una parte attiva nelle lotte sociali.
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Fu proprio Clara Zetkin a darne l’annuncio sul giornale di cui era direttrice, Die Gleichheit (L’uguaglianza), suscitando diversi consensi, tanto che questa ricorrenza cominciò ad essere celebrata in varie parti del mondo. In Italia, questa tradizione fu interrotta dalla dittatura fascista e riprese solo durante la Lotta di Liberazione Nazionale, come giornata di mobilitazione delle donne contro la guerra, contro l’occupazione tedesca e per le rivendicazioni di diritti femminili, grazie a gruppi collegati al CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) che daranno origine all’UDI (Unione Donne Italiane). Nel 1946 l’UDI pianificò la prima manifestazione dell’8 marzo nell’Italia libera, proponendo di farne una giornata per il riconoscimento dei diritti economici, sociali e politici delle donne e si scelse la mimosa come simbolo della ricorrenza, in quanto fiore di stagione, reperibile a poco prezzo. Ma la vera “esplosione” in termini di popolarità e di partecipazione, l’8 marzo l’avrà negli anni ’70; anni che segnano la collaborazione dei movimenti femminili e femministi che operarono attivamente per la legge sulla parità, per il diritto al divorzio e per l’aborto.
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Come ogni festività, il consumismo sta cedendo il posto ai valori e alla storia; nonostante le donne abbiano ancora tante battaglie da vincere (es. differenze di trattamento lavorative, problematiche sanitarie tipicamente femminili da affrontare, amarezza sulle ripercussioni di un’eventuale maternità ecc.). Ecco perché l’8 marzo deve fungere da monito, da insegnamento, da aiuto per tutte le donne che, quotidianamente, sono violentate, ferite, umiliate, sfregiate, mutilate, rapite, vittime di tratte o reclutate dall’Isis come spose di terroristi; sottomesse a livello psicologico, chiuse nelle case, sole col loro dolore, fragili, senza il coraggio di dire “basta”, denunciando gli abusi subiti dal proprio compagno. Ed ancora, il mio pensiero va alle donne vittime di circoncisione, escissione, infibulazione; alle donne disperate che assistono impotenti alla morte dei loro bimbi a causa della carestia e della fame, a quelle che s’illuminano di gioia alla vista del latte in polvere distribuito dai volontari; alle ammalate di Aids che lottano per vivere e morire con dignità, a quelle che col loro durissimo lavoro strappano alla terra una fragile sopravvivenza, a quelle che in tempi di crisi s’industriano, diventano artefici del proprio futuro. Per tutte queste donne occorre l’impegno concreto di tutti al fine di costruire un mondo migliore non solo l’8 marzo ma tutti i giorni dell’anno.
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La verità
TriangleUn grave incidente in una fabbrica tessile ebbe luogo a New York il 25 marzo 1911, tre anni e alcuni giorni dopo. E questo disastro ha poco a che fare con l’emancipazione femminile e soprattutto non ha niente a che fare con la giornata della donna. Su questa pagina del sito de L’Unità c’è addirittura un video che riproduce una serie di impressionanti immagini d’epoca e in didascalia riporta la solita favola della fabbrica Cotton. Si tratta di un errore. Come potete facilmente verificare voi stessi, le foto documentano l’incendio della Triangle Waist Company (o Triangle Factory) del 25 marzo 1911.
I morti nel disastro furono 146, donne e anche uomini, tutti lavoratori immigrati, in prevalenza italiani ed ebrei di provenienza europea. Morirono perché scoppiò un incendio, le uscite principali della fabbrica erano chiuse, e non c’erano uscite di sicurezza.
L’incendio della fabbrica Triangle in America non costituisce affatto un simbolo della parità negata tra i sessi. Viene invece additato come tragico esempio di quel che può accadere quando l’industrializzazione non conosce regole e limiti. Due anni prima, in effetti, i lavoratori della Triangle erano entrati in sciopero: i proprietari della fabbrica approfittavano della vulnerabilità degli immigrati forzandoli a lavorare in condizioni di sicurezza precarie. Curiosamente per una città che demolisce i propri palazzi come fossero castelli di sabbia, e li ricostruisce in tempi record, l’edificio della fabbrica Triangle è ancora in piedi, dalle parti di Washington Square Park.

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