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Amelia Rosselli ” Ossigeno nelle mie tende, sei tu…” Voce: Sergio Carlacchiani




Un articolo di Lello Voce
Amelia Rosselli, rivoluzionaria della poesia
L’Unità, 2006

«L’inferno, tessuto da mani perfette»: è un verso tratto da Sleep , la sua raccolta forse più nota, ed è anche una sorta di riassunto della vita, della lingua, della poesia di Amelia Rosselli, di cui ricorre il decennale dalla tragica morte. Figlia di Carlo Rosselli, esule antifascista assassinato a Parigi insieme al fratello, è stata una delle voci più originali, profonde ed innovative dell’ultimo scorcio del secolo scorso. Nomade dall’Italia a Parigi e poi in Inghilterra e negli Stati Uniti, ha fatto del suo varcare, violare, intrecciare confini un linguaggio poetico particolarissimo, materiato da un italiano assolutamente ‘artificiale’ in cui convergevano prestiti e calchi anglofoni e francofoni che si fondono con ‘naturale’ maestria ad invenzioni spericolate, che spesso si presentano, afasicamente, sotto le mentite spoglie dell’errore, o dell’anacoluto.
La vita e l’opera della Rosselli sono la prassi di questa contraddizione tra l’assoluta necessità della poesia e il suo essere ‘parziale’, imperfetta, eppure indispensabile, come ogni utopia che si rispetti: «E cos’è quel / lume della verità se tu ironizzi? Null’altro / che la povera pegna tu avesti dal mio cuore lacerato. / Io non saprò mai guardarti in / faccia; quel che / desideravo dire se n’è andato per la finestra, /quel che tu eri era un altro / battaglione che / io non so più guerrare; dunque quale nuova libertà / cerchi fra stancate parole?».
Ossigeno nelle mie tende, sei tu, a
graffiare la mia porta d’entrata, a
guarire il mio misterioso non andare
non potere andare in alcun modo con
gli altri. Come fai? Mi sorvegli e
nel passo che ci congiunge v’è soprattutto
quintessenza di Dio; il suo farneticare
se non proprio amore qualcosa di più
grande: il tuo corpo la tua mente e
i tuoi muscoli tutti affaticati: da
un messaggio che restò lì nel vuoto
come se ad ombra non portasse messaggio
augurale l’inquilino che sono io: tua
figlia, in una foresta pietrificata.

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